La scoperta dei neuroni specchio ha innescato un acceso dibattito tra
neuroscienziati: proprio per questo possiamo definirla una controversia
scientifica. La prima polemica arriva nel dicembre del 2008: in uno studio
pubblicato su Rivista Medica (Pascolo P. et al., Neuroni Mirror
nell’area F5 della corteccia cerebrale della scimmia: c’è stata un’evidenza
sperimentale? Rivista Medica, Vol.14, suppl. 4, Dic 2008) Paolo Pascolo,
docente di bioingegneria dell’Università di Udine, sostiene che i neuroni
specchio non esistano, né nell’uomo né nelle scimmie: è grazie all’esperienza
che gli uomini agiscono in anticipo.
Benvenuti vs Griffith (fonte: www.ninobenvenuti.it) |
Per spiegare la sua tesi, Pascolo è ricorso a un
esempio: l’incontro di pugilato Benvenuti – Griffith del 1967, durante il quale
Nino Benvenuti scansò un sinistro di Emile Griffith con un tempo di reazione di
16 centesimi di secondo. In pratica, capì quello che l’avversario stava per
fare prima che iniziasse l’azione. Secondo lo studioso questa anticipazione
motoria è stata dovuta all’esperienza, a ore di allenamento, e non
all’attivazione di neuroni specchio: questi, infatti, richiedono non meno di
130-150 ms per attivarsi, comportando così un ritardo del movimento. Invece,
prima dell’istante “zero” i muscoli di Benvenuti si stavano già contraendo,
pronti a sferrare il pugno.
La stessa cosa avviene nell’atletica: al via un atleta scatta non
appena sente lo sparo grazie a una reazione in due tempi (percezione e
reazione), non grazie ai neuroni specchio.
Rizzolatti ritiene che i neuroni specchio siano un
meccanismo neurofisiologico che permettono di capire le azioni e le intenzioni
degli altri “esperienzialmente”, cioè ogni persona ripete mentalmente il gesto
compiuto dall’altro, come se lo stesse facendo pure lei. A tal proposito
Pascolo si chiede come possa nascere un’azione specchio in un animale, ad
esempio in un cavallo che apre la porta della scuderia: l’animale userà
inevitabilmente la porta per farlo, mentre un uomo utilizzerebbe le mani. Il
cavallo “interpreterebbe” lo scopo dell’azione, senza poterla ripetere
esattamente.
Tra consimili il gesto eseguito dopo un’osservazione è, per così dire,
obbligato, non ha bisogno di attività specchi perché l’azione può esser
prodotta anche senza che essa sia già stata vista. Ad esempio i cavalli neonati
si mettono autonomamente sulle zampe e in breve corrono attorno alle madri che
li osservano. E’ una conseguenza dell’evoluzione e della conseguente
biomeccanica muscolo-scheletrica.
Del resto la letteratura è pressoché concorde nel ritenere che in gesto
complesso o elegante (come può essere la danza o un movimento di atletica) il
sistema dei neuroni specchio non funzioni, mentre risulta fondamentale la
ripetizione dell’esercizio.
Pascolo rivolge altre polemiche anche riguardo alle tecniche e al
metodo usati per gli esperimenti di Rizzolatti. Innanzitutto non sembra esserci
una netta divisione delle fasi di esecuzione del gesto (espressioni del volto,
intenzione, inizio del movimento, presa ecc), perciò il dato neurale rilavato
sulla scimmia ha una collocazione temporale incerta. In alcuni casi il macaco
era in ritardo, in altri in anticipo: invece di copiare l’azione, avrebbe
potuto semplicemente prepararsi al movimento.
Sia lo sperimentatore sia l’animale non sarebbero stati strumentati a
dovere, con sensori adatti a percepire il movimento, espressioni del visto e
altro.
Lo studioso, inoltre, mostra dei dubbi sulle misure indirette
utilizzate per studiare i neuroni specchio negli uomini: Rizzolatti e colleghi
sono partiti proprio da queste tecniche per sostenere l’esistenza del sistema
specchio nell’uomo, ma in quanto misure indirette esse comportano un certo
grado di probabilità e insicurezza. Pascolo si dichiara scettico sia nei confronti
degli esperimenti condotti sulle scimmie sia in misura maggiore su quelli
condotti indirettamente sugli uomini; propone quindi una rivisitazione in
contraddittorio dei lavori del 1996 del gruppo di Rizzolatti e una
ridefinizione del protocollo sperimentale. Conclude la sua polemica facendo un
riferimento alle ricerche sull’autismo : “se un paradigma non ha dato
sufficiente prova di solidità, cosa che risulta fin troppo evidente per i
cosiddetti neuroni specchio vista l’ampiezza del dibattito e le critiche che ha
generato, non pare opportuno trasferirlo ancora alla pratica clinica, né pare
opportuno usarlo tout-court per spiegare quella sindrome che conduce a un
drammatico isolamento dal mondo che noi chiamiamo autismo. Quest’ultima è forse
un’opinione personale ma è rispettosa nei confronti di chi ne soffre e di
chi si prende amorevolmente cura di loro".
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