Il dibattito sui neuroni specchio è stato alimentato nel 2009 dalla
pubblicazione sulla rivista scientifica internazionale Proceedings of the
National Academy of Sciences (PNAS) di uno studio effettuato da Alfonso Caramazza, direttore
del Laboratorio di neuropsicologia cognitiva dell’Università di Harvard e
direttore del Centro Interdipartimentale Mente–Cervello dell’Università degli
Studi di Trento (lo studio in questione è: A. Lingnau, B. Gesierich, A.
Caramazza, Asymmetric fMRI adaptation reveals no evidence for mirror
neurons, Pnas 2, giugno 2009).
(fonte: www.brainfactor.it) |
Caramazza e il suo team hanno studiato 12 volontari, chiedendo loro di
guardare video di movimenti delle mani e, quando richiesto, di mimare gli
stessi gesti. Per svolgere l’esperimento hanno utilizzato la tecnica detta adattamento alla fMRI (fMRI adaptation),
che consiste nella riduzione della
risposta di un gruppo di neuroni in seguito alla ripetuta esposizione ad uno
stimolo, durante l’esecuzione di un compito (il principio è che la ripetizione di uno stimolo provoca una risposta
sempre meno forte delle cellule nervose interessate). In questo modo
è possibile controllare se una determinata area cerebrale è sensibile o meno a cambiamenti nelle proprietà di uno
stimolo (ad esempio, il modo in cui
si afferra un oggetto o la direzione del
movimento). I neuroni specchio
dovrebbero attivarsi quando si registra l'azione, indipendentemente se questa sia
compiuta o solo osservata. Invece la risonanza magnetica per immagini ha
mostrato che il meccanismo di adattamento dei neuroni scatta soltanto quando
l'azione viene vista e poi eseguita: ovvero, la fMRI non ha provato
l’attivazione delle aree cerebrali sensibili ai cambiamenti nel caso di atto
motorio prima compiuto e poi osservato (cross-modal adaptation). Da ciò deriva
che l’osservazione e l’interpretazione degli
atti motori non dipendono dalla simulazione ad opera del sistema motorio e, quindi, che i neuroni specchio non svolgono un
ruolo così funzionale nella comprensione dell'azione, nell’empatia o nella
spiegazione di patologie cognitive come l'autismo.
“Questo studio ci
fornisce un’importante evidenza ai fini della nostra comprensione di come il
cervello interpreta gli atti motori. I nostri dati sono compatibili con
l’ipotesi che l’osservazione di un atto motorio porti alla preparazione del
programma motorio associato, ma che questo possa essere interamente
indipendente dal processo di comprensione dell’azione”, spiega Angelika Lingnau, primo
autore dello studio.
Il risultato dello studio condotto al CIMeC critica il paradigma
teorico riduzionista, il quale sostiene che tutta la cognizione può essere
ricondotta alle rappresentazioni senso-motorie. Infatti secondo la prospettiva
dei ricercatori trentini, c’è un notevole gap tra la scoperta originaria dei
neuroni specchio che manifestano una selettività rispetto agli atti motori e il
loro coinvolgimento nelle funzioni cognitive superiori dell’uomo. Queste ultime
spesso non possono essere tutte collegate a semplici relazioni, come sentire il
suono della rottura di una noce e associarlo con il relativo atto motorio. Nella
realtà di tutti i giorni troviamo diversi esempi di casi in cui lo stesso input
visivo (per esempio uno sbadiglio) è in grado di assumere vari significati
(stanchezza, noia, provocazione, malessere) che possono venire colti solo
grazie a ulteriori informazioni di background.
Quando questo studio è stato pubblicato, Caramazza ha riconfermato la
sua posizione: l’esistenza di un sistema di neuroni specchio negli essere umani
nel migliore dei casi è incerta e “nonostante questo sono stati usati per spiegare
molte capacità umane, come l'imitazione, l'empatia, l'acquisizione del
linguaggio e anche forme di patologie cognitive tra cui l'autismo. Tutto questo
è sbagliato e ingiusto, perché alimenta le speranze delle famiglie che hanno
figli malati”.
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