martedì 20 novembre 2012

Caramazza infrange gli specchi



Il dibattito sui neuroni specchio è stato alimentato nel 2009 dalla pubblicazione sulla rivista scientifica internazionale Proceedings of the National Academy of Sciences (PNAS) di uno studio effettuato da Alfonso Caramazza, direttore del Laboratorio di neuropsicologia cognitiva dell’Università di Harvard e direttore del Centro Interdipartimentale Mente–Cervello dell’Università degli Studi di Trento (lo studio in questione è: A. Lingnau, B. Gesierich, A. Caramazza, Asymmetric fMRI adaptation reveals no evidence for mirror neurons, Pnas 2, giugno 2009).

(fonte: www.brainfactor.it)
Caramazza e il suo team hanno studiato 12 volontari, chiedendo loro di guardare video di movimenti delle mani e, quando richiesto, di mimare gli stessi gesti. Per svolgere l’esperimento hanno utilizzato la tecnica detta  adattamento alla fMRI (fMRI adaptation), che consiste nella riduzione della risposta di un gruppo di neuroni in seguito alla ripetuta esposizione ad uno stimolo, durante l’esecuzione di un compito (il principio è che la ripetizione di uno stimolo provoca una risposta sempre meno forte delle cellule nervose interessate).  In questo modo è possibile controllare se una determinata area cerebrale è sensibile o meno a cambiamenti nelle proprietà di uno stimolo (ad esempio, il modo in cui si afferra un oggetto o la direzione del movimento). I neuroni specchio dovrebbero attivarsi quando si registra l'azione, indipendentemente se questa sia compiuta o solo osservata. Invece la risonanza magnetica per immagini ha mostrato che il meccanismo di adattamento dei neuroni scatta soltanto quando l'azione viene vista e poi eseguita: ovvero, la fMRI non ha provato l’attivazione delle aree cerebrali sensibili ai cambiamenti nel caso di atto motorio prima compiuto e poi osservato (cross-modal adaptation). Da ciò deriva che l’osservazione e l’interpretazione degli atti motori non dipendono dalla simulazione ad opera del sistema motorio e, quindi, che i neuroni specchio non svolgono un ruolo così funzionale nella comprensione dell'azione, nell’empatia o nella spiegazione di patologie cognitive come l'autismo.
 “Questo studio ci fornisce un’importante evidenza ai fini della nostra comprensione di come il cervello interpreta gli atti motori. I nostri dati sono compatibili con l’ipotesi che l’osservazione di un atto motorio porti alla preparazione del programma motorio associato, ma che questo possa essere interamente indipendente dal processo di comprensione dell’azione”, spiega Angelika Lingnau, primo autore dello studio.



Il risultato dello studio condotto al CIMeC critica il paradigma teorico riduzionista, il quale sostiene che tutta la cognizione può essere ricondotta alle rappresentazioni senso-motorie. Infatti secondo la prospettiva dei ricercatori trentini, c’è un notevole gap tra la scoperta originaria dei neuroni specchio che manifestano una selettività rispetto agli atti motori e il loro coinvolgimento nelle funzioni cognitive superiori dell’uomo. Queste ultime spesso non possono essere tutte collegate a semplici relazioni, come sentire il suono della rottura di una noce e associarlo con il relativo atto motorio. Nella realtà di tutti i giorni troviamo diversi esempi di casi in cui lo stesso input visivo (per esempio uno sbadiglio) è in grado di assumere vari significati (stanchezza, noia, provocazione, malessere) che possono venire colti solo grazie a ulteriori informazioni di background.

Quando questo studio è stato pubblicato, Caramazza ha riconfermato la sua posizione: l’esistenza di un sistema di neuroni specchio negli essere umani nel migliore dei casi è incerta e “nonostante questo sono stati usati per spiegare molte capacità umane, come l'imitazione, l'empatia, l'acquisizione del linguaggio e anche forme di patologie cognitive tra cui l'autismo. Tutto questo è sbagliato e ingiusto, perché alimenta le speranze delle famiglie che hanno figli malati”.


Fonti:



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