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domenica 18 novembre 2012

La polemica da Udine



La scoperta dei neuroni specchio ha innescato un acceso dibattito tra neuroscienziati: proprio per questo possiamo definirla una controversia scientifica. La prima polemica arriva nel dicembre del 2008: in uno studio pubblicato su Rivista Medica (Pascolo P. et al., Neuroni Mirror nell’area F5 della corteccia cerebrale della scimmia: c’è stata un’evidenza sperimentale? Rivista Medica, Vol.14, suppl. 4, Dic 2008) Paolo Pascolo, docente di bioingegneria dell’Università di Udine, sostiene che i neuroni specchio non esistano, né nell’uomo né nelle scimmie: è grazie all’esperienza che gli uomini agiscono in anticipo.

Benvenuti vs Griffith (fonte: www.ninobenvenuti.it)
Per spiegare la sua tesi, Pascolo è ricorso a un esempio: l’incontro di pugilato Benvenuti – Griffith del 1967, durante il quale Nino Benvenuti scansò un sinistro di Emile Griffith con un tempo di reazione di 16 centesimi di secondo. In pratica, capì quello che l’avversario stava per fare prima che iniziasse l’azione. Secondo lo studioso questa anticipazione motoria è stata dovuta all’esperienza, a ore di allenamento, e non all’attivazione di neuroni specchio: questi, infatti, richiedono non meno di 130-150 ms per attivarsi, comportando così un ritardo del movimento. Invece, prima dell’istante “zero” i muscoli di Benvenuti si stavano già contraendo, pronti a sferrare il pugno.
La stessa cosa avviene nell’atletica: al via un atleta scatta non appena sente lo sparo grazie a una reazione in due tempi (percezione e reazione), non grazie ai neuroni specchio.

Rizzolatti ritiene che i neuroni specchio siano un meccanismo neurofisiologico che permettono di capire le azioni e le intenzioni degli altri “esperienzialmente”, cioè ogni persona ripete mentalmente il gesto compiuto dall’altro, come se lo stesse facendo pure lei. A tal proposito Pascolo si chiede come possa nascere un’azione specchio in un animale, ad esempio in un cavallo che apre la porta della scuderia: l’animale userà inevitabilmente la porta per farlo, mentre un uomo utilizzerebbe le mani. Il cavallo “interpreterebbe” lo scopo dell’azione, senza poterla ripetere esattamente.
Tra consimili il gesto eseguito dopo un’osservazione è, per così dire, obbligato, non ha bisogno di attività specchi perché l’azione può esser prodotta anche senza che essa sia già stata vista. Ad esempio i cavalli neonati si mettono autonomamente sulle zampe e in breve corrono attorno alle madri che li osservano. E’ una conseguenza dell’evoluzione e della conseguente biomeccanica muscolo-scheletrica.
Del resto la letteratura è pressoché concorde nel ritenere che in gesto complesso o elegante (come può essere la danza o un movimento di atletica) il sistema dei neuroni specchio non funzioni, mentre risulta fondamentale la ripetizione dell’esercizio.

Pascolo rivolge altre polemiche anche riguardo alle tecniche e al metodo usati per gli esperimenti di Rizzolatti. Innanzitutto non sembra esserci una netta divisione delle fasi di esecuzione del gesto (espressioni del volto, intenzione, inizio del movimento, presa ecc), perciò il dato neurale rilavato sulla scimmia ha una collocazione temporale incerta. In alcuni casi il macaco era in ritardo, in altri in anticipo: invece di copiare l’azione, avrebbe potuto semplicemente prepararsi al movimento.
Sia lo sperimentatore sia l’animale non sarebbero stati strumentati a dovere, con sensori adatti a percepire il movimento, espressioni del visto e altro.

Lo studioso, inoltre, mostra dei dubbi sulle misure indirette utilizzate per studiare i neuroni specchio negli uomini: Rizzolatti e colleghi sono partiti proprio da queste tecniche per sostenere l’esistenza del sistema specchio nell’uomo, ma in quanto misure indirette esse comportano un certo grado di probabilità e insicurezza. Pascolo si dichiara scettico sia nei confronti degli esperimenti condotti sulle scimmie sia in misura maggiore su quelli condotti indirettamente sugli uomini; propone quindi una rivisitazione in contraddittorio dei lavori del 1996 del gruppo di Rizzolatti e una ridefinizione del protocollo sperimentale. Conclude la sua polemica facendo un riferimento alle ricerche sull’autismo : “se un paradigma non ha dato sufficiente prova di solidità, cosa che risulta fin troppo evidente per i cosiddetti neuroni specchio vista l’ampiezza del dibattito e le critiche che ha generato, non pare opportuno trasferirlo ancora alla pratica clinica, né pare opportuno usarlo tout-court per spiegare quella sindrome che conduce a un drammatico isolamento dal mondo che noi chiamiamo autismo. Quest’ultima è forse un’opinione personale ma è rispettosa nei  confronti di chi ne soffre e di chi si prende amorevolmente cura di loro". 

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